di Dalila Valentina Salonia
Il consumo del vino naturale oggi è un fenomeno che sta dimostrando una forte crescita,
crescono i sostenitori, particolarmente all’estero ( Stati Uniti in testa) e tra i giovani.
Si tratta però di un tema controverso, discordanti sono le opinioni in merito alla terminologia usata per identificare un prodotto come il vino e si sprecano le polemiche che ruotano intorno al significato e all’uso del termine “naturale”.
Per la legge il vino è un alimento e come tale, a tutela e garanzia del consumatore deve essere regolato nella sua commercializzazione ma la logica del legislatore che ammette l’uso di definizioni quali “aromi naturali” o “acqua minerale con aggiunta di anidride carbonica” non sembra essere delle più stringenti.
Molti ritengono che lo stesso termine “naturale” sia totalmente inadatto dato che la natura di per sé non produce vino e la questione si sposta sul se la parola “naturale” debba essere impiegata o meno.
E’ chiaro che la natura concentri le sue forze unicamente nella produzione di semi quindi uve che assicurino il miglioramento genetico della specie e che come ogni prodotto dell’attività umana, il vino richieda ovviamente la mano dell’uomo che con la sua sapienza accumulata nel corso di generazioni e anni di agricoltura ha imparato a convivere con la vite e a trarne beneficio.
Fatta però questa premessa, l’idea di vino naturale deve esistere insieme ad una definizione che ci aiuti a comprenderne appunto la “natura” e lo status che deve avere un vino per poter a pieno titolo conquistare la definizione di vino naturale.
Dunque , come già detto la natura non dà direttamente il vino ( ad essere pignoli la natura è semmai in grado di donarci il succo d’uva).
Il vino è chiaramente il risultato di una trasformazione, la conseguenza di un processo messo in atto dall’uomo.
Più che frutto della natura il vino è il risultato di un interpretazione della natura e in questo può essere assimilato ad una forma d’arte.
A questo punto il problema passa ad essere, dove ci collochiamo rispetto alla natura.
Oltre alle disquisizioni di carattere filosofico, entrano in gioco interessi commerciali non indifferenti.
Molti produttori lamentano il fatto che sotto la dicitura “naturale” rientrino le più disparate tipologie di vino mentre chi ha sempre lavorato seguendo determinati principi, nell’autentico rispetto della natura non ha bisogno di ricorrere ad alcun riconoscimento di sorta che piuttosto serve a chi di questo termine deve fare una risorsa linguistica di marketing sfruttandone la connotazione positiva.
Ma quali sono allora in sintesi le caratteristiche che un vino deve avere per rispondere ad un idea di naturalità?
Un idea di naturalità può essere sostenuta quando le scelte del produttore e il messaggio che quest’ultimo implicitamente affida al vino, sono coerenti con l’uso rispettoso dell’ambiente circostante, con i suoi ritmi, le sue esigenze e la sua ricchezza.
Quando in cantina ci si preoccupi di gestire e incanalare gli elementi che il contesto ambientale ci offre con l’obbiettivo di preservare al massimo le ricchezze di cui il mosto è portatore piuttosto che seguire la realizzazione di un gusto deciso a priori.
Un vino di questo tipo si lega fortemente al territorio e ne costituisce l’espressione più autentica, è frutto della cura e dell’attenzione della vigna e non è snaturato da un eccessivo “lavoro di cantina”.
Quando in definitiva il processo di produzione non prevede l’uso di prodotti chimici di sintesi, né in vigna né in cantina. Quando la maturazione delle uve sia coerente con l’andamento stagionale e vi sia massima eco compatibilità (adattabilità) dei vitigni e dei sistemi di allevamento della vite nei territori in cui sono coltivati.
Solo allora si potrà finalmente usare l’espressione “vino naturale”.
Infine citando l’enologo siciliano Salvo Foti, possiamo ricordare l’ultima caratteristica : “onestà del produttore che è in definitiva il miglior ingrediente di un vino”.