L’asporto ai tempi della crisi

di Danilo Giaffreda

A Milano aveva un laboratorio di pasta fresca con la madre e la zia. Poi, rientrato in Puglia, ha avviato con un socio una piccola e ambiziosa produzione di pasta artigianale ma alla fine, dovendosi barcamenare personalmente tra lavorazione, packaging, ricerca dei clienti e distribuzione shop to shop del prodotto, ha deciso di mollare e riprendere una vecchia passione: la cucina.

Non con il solito ristorantino improvvisato, ovviamente, e nemmeno andando a percorrere tutte le tappe della professione sperando, un giorno, di emergere dalla moltitudine. No, niente di tutto questo, ma una sola, umile e intelligente idea, sfruttando la bravura e la disponibilità della mamma e riprendendo il bagaglio di memoria casalinga in tema di gastronomia: un negozio di piatti da asporto all’ingresso di Brindisi con la possibilità – piccola, piccolissima, tre tavoli – di fermarsi a consumare sul posto scambiando due chiacchiere o navigando gratuitamente in rete grazie a un provvidenziale wi-fi, una rarità da queste parti.

La formula è subito di successo, non soltanto tra gli amici, tanti, solidali e fortunatamente, in gran parte, senza voglia o tempo di cucinare, ma anche tra vecchi pensionati, irriducibili single, gente diretta al mare a passare la giornata e, sempre più frequentemente, generosi padroni di casa che invitano amici e spacciano segretamente l’asporto per invidiabile perizia culinaria. In questo caso basta giocare d’anticipo e prenotare per tempo, tutto è preparato espressamente e nelle quantità desiderate.

D’altra parte, se la prima irresistibile attrattiva della cucina di Pino Faggiano sta nell’assoluta accessibilità dei prezzi – sette euro e cinquanta per un primo, un secondo, un contorno e mezza minerale – è innegabile che il vero appeal è la bonta dei piatti, la loro familiarità, l’immediatezza e la riconoscibilità dei sapori, il loro sostituire, senza troppi sensi di colpa, la cucina di casa.

Dopo un primo, fugace e fallito, tentativo di cucina creativa, infatti, la linea si è spostata decisamente sulle ricette della tradizione, sull’utilizzo di materia prima locale – fresca e di qualità – e su qualche timida incursione fuori porta, ma di quelle ormai sdoganate da nuove e vecchie tendenze.

Via allora alle irrinunciabili polpette, sempre calde e croccanti e anche su richiesta, alla parmigiana di melanzane, ai cannelloni, alle tradizionalissime orecchiette alle cime di rapa, al gattò di patate, al riso patate e cozze, all’insalata di polipo, alle fave con friggitelli, ma anche al cous-cous di verdure, al salmone gratinato, al roast-beef, alle quiche, ai risotti.

La due settimane canoniche di chiusura estiva dopo un paio di mesi di rodaggio hanno gettato nello sconforto quelli rimasti in città ormai abituati alla tappa prandiale da Pino e questo è già il segno di un successo. Piccolo, certo; imprenditorialmente irrilevante, forse; ma socialmente emblematico. Il negozio di quartiere, il riferimento quotidiano, la certezza della qualità alla portata di tutti contro l’omologazione dell’offerta dei bar e il monopolio della grande distribuzione, che qui impera, si arricchisce e stravolge abitudini e cultura.

Il pranzo da Pino ha il sapore di una piccola, silenziosa, rivoluzione. E in tempi di crisi non è poco.

A PRANZO DA PINO

Via S.Giovanni Bosco, 30

72100 Brindisi

Tel. 08311986871

Tel. 349 3763650

Fonte: L’asporto ai tempi della crisi – Gazzetta Gastronomica.

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