di Angelo Manna
In alcuni centri della provincia di Enna la Settimana Santa rappresenta un appuntamento sentito e importante, almeno quanto il Natale. A Leonforte è talmente sentito questo momento che il periodo della “Passione” è allungato di una settimana. Quì i riti e la cultura d’origine araba si mischiano a quelli barocchi e spagnoli in un “meltin’ pot” di ritualità, tradizione e fede che ha il suo culmine nel Venerdì Santo, con la processione “do Mulimentu”, la bara che dà rifugio alla statua del Cristo in legno del XVIII secolo. Ma, come per tutte le altre festività o ricorrenze tradizionali in Sicilia, il Venerdì Santo per i leonfortesi e, in particolare per la mia famiglia, significa anche ritualità a tavola che si esprime nei cibi consumati in quei giorni. Ragione per la quale ogni Venerdì Santo a casa mia non può assolutamente mancare “’a pasta a milanisa”, la pasta “alla milanese”. Che di milanese ha davvero ben poco, ma è retaggio di secoli di tradizioni gastronomiche autoctone e tradizioni lessicali alloctone. Per la serie: il vizio dei siciliani di regalare agli altri quello che ci appartiene. Ad ogni modo, ci sono diverse ipotesi sul perché una preparazione così tipica, nel corso dei secoli abbia mutato il suo nome in quello attuale. L’ipotesi più verosimile attribuisce l’appellativo della ricetta originale all’utilizzo del pesce: oggi si tratta dei “masculini”, straordinario pesce dalle innumerevoli virtù e uno dei pochi pesci un tempo accessibili anche per le famiglie meno benestanti. La ricetta probabilmente nacque in seguito alla dominazione normanna in Sicilia, e pertanto, in seguito al regno di Federico II, che proprio a Enna ebbe una delle sue principali dimore. L’eredità lasciata da Federico II sulla città di Castrogiovanni (l’odierna Enna) è tutt’oggi molto forte e visibile non solo da un punto di vista storico e architettonico (basti pensare alla Torre di Federico o al castello di Lombardia), ma anche dal punto di vista gastronomico.
Il pesce dicevamo. A quel tempo (XII-XIII secolo) il pesce a Enna e dintorni non era alimento agevole da trovare: la lontananza con le coste ne rendevano difficile il trasporto e la conservazione. E allora furono proprio i normanni a portare la cultura del pesce a Enna: il pesce conservato, quello affumicato o sotto sale, quello del Nord, che si poteva ben conservare. Ecco perché quella preparazione, quella pasta che altrove in giro per l’isola si chiama “con le sarde” o “alla palermitana”, a Enna diventa “pasta ‘a milanisa” (milanesi o lombardi erano allora chiamati i Normanni, popolo del nord), perché arricchita da un ingrediente, il pesce, atipico per quella cucina terragna dell’entroterra siculo. Anche se poi, a ben vedere non è nient’altro che la tipica pasta con le sarde, il finocchietto “rizzu” (il finocchio selvatico), i pinoli, l’uva passa e la mollica. Solo che nella tradizione ennese questa ricetta è arricchita dalla salsa di pomodoro.
Il finocchio selvatico è l’altro elemento principale di questa ricetta: il suo gusto inconfondibile è segno della sua presenza stagionale. Nella versione preparata dalle famiglie ennesi per il Venerdì Santo però mancano in genere i pinoli e l’uva passa, forse perché ritenuti ingredienti ricchi e quindi “da festa”, pertanto disdicevoli in un giorno di penitenza e contrizione. In quasi trent’anni non ricordo mai un Venerdì Santo in cui a pranzo a casa mia non si sia consumato questa tradizione culinaria eccezionale e dal sapore straordinario. Ed ecco perché questo giorno, in cui si celebra il culmine della Passione di Cristo, in cui i riti e le processioni rendono l’aria solenne, per me riveste anche un significato importante dal punto di vista “gastronomico” e mi ricorda ogni anno di quanto sia importante il legame con la nostra storia (i normanni), la nostra cultura (i “masculini”), il legame con il territorio e la stagionalità dei prodotti (il finocchio selvatico), il nostro passato contadino (la mollica), umile ma al contempo ricco e pieno d’orgoglio. E infine, perché no, anche il legame con la nostra spiritualità. In fondo che cos’è la Pasqua se non rinascita? Esattamente come la primavera, la tradizione e la cucina.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
proprio oggi a pranzo, davanti a un piatto di pasta ‘a milanisa, si discuteva sull’origine del nome e, se ogni piatto è cultura, mentre si mangia non può non farsi viva la memoria. Io sapevo che a masculina veniva detta milanisa, ora leggendo questo post, scritto peraltro bene da un compaesano conosciuto ieri all’outlet, della serie la vita è un susseguirsi di coincidenze, scopro il perché dovuto alla dominazione normanna.