Il primo è che Taste significa, innanzitutto, gusto e il gusto è il fil rouge che lega le decine e decine di espositori che senza soluzione di continuità espongono ogni genere di raffinatezza culinaria su lunghi e ininterrotti banconi che riecheggiano, simulandoli, i treni che una volta animavano questa stazione, riattata a bellissimo spazio espositivo a pochi passi dal centro della città.
Casari, norcini, distillatori, pasticceri, pastai, birrai e financo torrefattori tagliano, affettano, spalmano e versano, offrendola, l’eccellenza d’Italia.
Tutti coccolano e raccontano i loro prodotti manco fossero figlioli, seducono i palati, cercano la soddisfazione e il piacere negli occhi dei visitatori, si aspettano il riscontro del pubblico dopo un anno di duro lavoro, di sacrifici, di solitudine, di rischi in assenza di una tutela istituzionale determinata a protezione del loro sapere, della loro passione e del loro amore per il lavoro.
Temi, questi, emersi domenica durante l’intervento di Oscar Farinetti sul palco del Ring, la ribalta degli approfondimenti e dei confronti a latere della rassegna, purtroppo disturbata dal vociare e dal frastuono dell’attiguo ristorante che occupa, inspiegabilmente, la stessa bellissima, affascinante sala.
Alla vigilia dell’ennesimo e più importante varo del miracolo Eataly a Roma, Farinetti lancia il suo j’accuse contro il silenzio e l’ignoranza decennali delle istituzioni, incita a progettare e creare sempre nuove attività nel settore dell’agro-alimentare, consiglia con toni vivi ed espressioni colorite di non perdere tempo in lamentele e autocommiserazione, dice che la rivoluzione del gusto passerà necessariamente attraverso la scuola e i bambini, portatori sinceri e convinti di nuove e corrette abitudini alimentari, e invita, infine, i nostri consoli nel mondo a farsi ambasciatori delle eccellenze italiane, perché è dal mondo e nel mondo che avverrà il riscatto e la rinascita della nostra cultura.
Il secondo buon motivo è che Taste significa, anche, assaggiare ed è questa l’attività più frenetica alla quale indulgono tutti con montante soddisfazione. Il fiume di visitatori assaggia tutto, è avido di conoscere e di scoprire, di capire dove, come e perché: dove scorre la linfa del vero gusto italiano, come è possibile inseguirla per farla propria, perché i prodotti, per essere così buoni e golosi, si fanno in un modo e non in un altro.
Gli assaggi sono preceduti dai profumi che, man mano che la temperatura nelle sale aumenta, esalano irresistibili dai banchi e allora tutti passano, senza pregiudizi e con leggerezza, trasportati dalla gola e dalle tentazioni, dal dolce al salato, dal morbido al croccante, dal buono, al buonissimo, talvolta al sublime. C’è chi stila classifiche e assegna punteggi, appuntando scrupolosamente tutto su taccuini d’ogni forma e colore; c’è chi fotografa e riprende compulsivamente con telefoni o sofisticatissime apparecchiature fotografiche, c’è chi twitta e chi pubblica in tempo reale le gallerie di tutte le immagini su Facebook. L’atmosfera è febbrile,gaudente. Prevalgono i sorrisi, le guance rubizze, l’incedere alticcio, le gentilezze altrove improbabili. Assaggiare la bontà è una delle esperienze più vicine alla felicità, evidentemente.
Il terzo, infine, è che Taste è, fondamentalmente, una parola internazionalmente comprensibile, e internazionale è l’afflato cui tende questa rassegna e chi la organizza, internazionale è l’apertura sempre più massiccia e consapevole dell’eno-gastronomia made in Italy nel mondo, internazionale è il sentimento che sta cancellando, si spera definitivamente, l’inaccettabile luogo comune di “pizza, pasta e mandolino”.
“Abbiamo il culo di nascere in Italia” chiosa infine Farinetti, “dobbiamo solo imparare a comunicare e diffondere la nostra bellezza”. E, forse, il futuro ci apparirà meno incerto e angosciante, aggiungo io.