Lo Sfincione di Baaria

di Salvo Gulizia

Non vi parlo del dolce fritto, farcito di crema o ricotta  e poi cosparso di zucchero , ma di una sorta di focaccia  aperta, tipo pizza, che a Palermo preparavano solo le suore del monastero di San Vito. A vederla non è facile capire quali siano gli ingredienti, si  cominciano a percepire solo dopo aver dato il primo morso, quando comincia a “sciogliersi” in bocca.

La pasta è morbida,  l’acciuga è giustamente dosata, il caciocavallo non è aggressivo e la mollica recuperata dalla “vastedda pe’ sfinciuni”  è ben miscelata con la cipolla, l’olio ed il pecorino. E’ una vera bonta’.

A  Palermo oltre che con gli ingredienti base è arricchita  con la salsa di pomodoro, ma per  i bagheresi “U veru sfinciuni è chiddu di Baaria”, che può essere condito con il  formaggio oppure con la ricotta.

Oggi viene venduto tutto l’anno nei panifici, pizzerie, gastronomie e dagli ambulanti che si spostano per le strade di Palermo con la  “lapa” (moto Ape),   ma fino a qualche tempo addietro era preparato dalle “donne di casa”  il giorno prima dell’Immacolata, Natale, Capodanno, Pasqua e in quei giorni in cui si riuniva la famiglia. Era considerato il pasto delle Feste. L’impasto veniva fatto a casa e gli ingredienti venivano sistemati con cura senza mai abbondare e sempre nelle giuste dosi. Poi “pa’nfunnata”, le teglie venivano coperte con una “mappina” e portati dal fornaio di fiducia, generalmente vicino casa, dove il forno a cupola era alimentato a legna. Le teglie erano poste una accanto all’altra e quando veniva il turno, gli sfincioni erano sistemati sulla base del forno con la  pala  e cotti direttamente sui mattoni; su ogni sfincione, per poter essere riconosciuto da chi lo aveva preparato,  veniva posto un segnale, generalmente un pezzetto di impasto, di forma diversa, come a rappresentare lo stemma di famiglia. Al momento del ritiro, dicendo il segnale il fornaio rispondeva “prointu” o “ndo fuinnu”.

Se volete, potete provare a  prepararlo anche voi,  impastando parti uguali di farina rimacinata di grano duro e  tipo “0” con  lievito, sale e acqua tiepida  aggiungendo l’olio durante la lavorazione. Quando l’impasto è morbido ed elastico, si pone  in una ciotola oliata, si copre con un panno di lana e si lascia lievitare per due ore (deve raddoppiare il volume). Si stende poi su una teglia ben oleata, e dopo aver dato la forma voluta,  si conficcano  le acciughe  a piccoli pezzi. Lo strato successivo è costituito da  fette di caciocavallo o primo sale o ricotta su cui viene cosparsa  la mollica di pane, raffermo da almeno 4 giorni,  lavorata con  abbondante cipolla, precedentemente stufata, ed una spruzzata di pecorino. Irrorare  con un filo d’olio e lasciare lievitare altri 30 minuti, quindi infornare per circa 30 minuti nel forno preriscaldato a 230°C, controllandone la  cottura.

 

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