di Fabio Venditti
Quando Andrea Graziano mi propose di scrivere di birra su Caponataweb, l’idea sembrò decisamente intrigante.
Da dove iniziare però?
L’Italia, in fondo, è terra di: santi, poeti, navigatori, esperti di calcio ed enogastronomi.
La birra non ce l’abbiamo nel sangue; è duro ammetterlo, ma è così.
Alla domanda fondamentale, cosa sia la birra, è necessario rispondere in maniera articolata: iniziando con la sua storia.
Iniziamo quindi con un salto nel passato, in epoca preistorica, periodo neolitico circa VI sec. a.C.
Immaginiamo i primi agricoltori intenti a coltivare orzo: il primo cereale coltivato dall’uomo.
L’osservazione casuale del fenomeno che trasformava cereali semimacinati e acqua in un liquido inebriante di sapore gradevole, è il primo esempio di fermentazione.
Arriviamo ora a Qualche millennio dopo, circa il 4000 a.c. in epoca sumera, nell’attuale Iraq sud-orientale.
Tavolette di argilla scoperte in scavi effettuati negli anni ’50 riportano le preghiere e le offerte di capretti, miele e birra a Nin-Har: dea dei temporali, che trasforma il deserto in pascolo. La birra si produce partendo dalla fermentazione di ‘pani’ di orzo e farro, opportunamente macinati. Più si cuoce questo pane e più la birra che si ottiene è scura. Il salario degli schiavi, inoltre, comprende anche un compenso in birra; tre litri circa.
Norme che regolamentano la produzione e la vendita di birra, sono contenute anche nel celebre codice di Hammurabi, nella Babilonia del 1750 a.C. La pietra Blau, visibile oggi presso il Louvre, riportano anche alcune norme riguardanti la birra. Chi truffava, in genere, veniva frustato o gettato nel fiume.
In Egitto, la produzione di birra (zythum) è perfezionata. Si tratta di un liquido denso, molto ricco di zuccheri e a basso tenore alcolico. Le tecniche produttive sono insegnate nelle scuole, insieme a lettura e scrittura. E’ un elemento importante nelle funzioni religiose e negli scambi commerciali, tanto da esserne regolamentato l’uso per legge e vietata come contropartita nella compravendita di oro. Reperti dell’epoca la descrivono anche come medicinale per la cura dei più svariati malanni. Una birra al giorno toglie il medico di torno? Su questo i reperti non danno risposte certe.
Dall’Egitto alla Grecia ci volle poco a diffondere lo zythum, che diventa zythos: bevanda destinata alle classi inferiori.
Anche i romani, che appresero dai greci anche questa usanza, non avevano molta considerazione per la birra: preferendole di gran lunga il vino.
Le cose cambiano con la conquista dell’Europa da parte dei legionari romani. Arrivano le pregiate birre prodotte in Iberia, in Gallia e dai Celti delle zone settentrionali. Giulio Cesare fa arrivare in Britannia la birra prodotta in Gallia e tra i vari tipi di birra dell’epoca, la preferita sembra essere la ‘cerevisia’, birra scura di orzo e frumento. I Germani apprendono l’arte della produzione dai Romani e, in parte, dai Celti. In epoca imperiale alla birra viene preferito il vino: “il vino profuma di nettare, la birra puzza di caprone”, declama il colto imperatore Giuliano l’Apostata (350 d.c.)
La fame è certamente una delle caratteristiche principali del medioevo.
Le classi più povere, alla perenne ricerca di una dieta ricca di zuccheri, trovano nella birra un valido contributo calorico a buon mercato.
Si tratta di vari tipi di birra, in base al luogo ed alle condizioni economiche del produttore. Accanto a birre di orzo e frumento, si possono trovare intrugli partendo da ogni tipo di sostanza fermentabile. L’influenza delle invasioni barbariche, nell’Italia dell’epoca, si fa sentire anche in un mutato rapporto con il territorio. Le usanze degli invasori sono fatte proprie dagli abitanti. Il luogo prediletto per l’agricoltura non è più esclusivamente il campo, ma anche la foresta. Si raccolgono frutti selvatici, bacche, radici, miele. Si producono sidro e idromele, dalla fermentazione rispettivamente di mele e miele.
Già dai tempi delle invasioni barbariche, le abbazie erano rifugi in cui preservare tradizioni e culture che altrimenti sarebbero state spazzate via. Grande importanza, a questo proposito, ha la regola di San Benedetto: sintetizzata con il famoso motto “Ora, lege et labora”. Compiti del monaco sono quelli legati alla spiritualità in primo luogo, ma anche al lavoro manuale: per allontanare il pericolo dell’ozio. Accanto alla protezione della cultura, sotto forma di riproduzione di testi sacri, si pongono momenti più bucolici. Inizia così la tradizione delle birre di abbazia. E’ soprattutto grazie ai monasteri cistercensi (S. Benedetto) e in particolare al loro ordine dei frati trappisti, che la storia della birra ha un impulso fondamentale nel corso dei secoli fino a noi.
In questa fase la produzione della birra è saldamente in mano agli ordini ecclesiastici, che in tale modo incidono nella vita delle comunità: soprattutto nell’Europa centrale. La birra che si produce è fondamentalmente un mosto fermentato ottenuto dalla bollitura delle sostanze più disparate: dai cereali, alla frutta matura. Per rendere meno stucchevole questa bevanda dolce, si usa amaricarla con un mix di erbe e radici: il cosiddetto “gruyt”. Il commercio di queste sostanze aromatiche è prerogativa delle autorità ecclesiastiche, che controllano la produzione di birra, ponendo anche un dazio sul consumo. Altra proprietà delle erbe è quella di allungare la vita della birra: soggetta a putrefazione come qualsiasi alimento. Eravamo ancora molto lontani dalla birra che conosciamo oggi: per fortuna.
Nel XII secolo suor Hilgedard von Bingen (1098-1179), botanica dell’Abbazia di St. Rupert in Germania, scopre le qualità del luppolo. Usato al posto del gruyt impedisce il veloce deperimento della birra e ne migliora anche il sapore. Inizia così la nuova era per la nostra bevanda preferita. L’espansione dell’uso del luppolo interessa inizialmente la Germania, per espandersi poi in Boemia e Olanda. Nelle isole britanniche, un po’ come oggi, ci sono ritrosie all’introduzione di questa novità da parte dei cultori della tradizione. Nel XVI secolo il luppolo finisce per diventare il terzo elemento base della birra, insieme ad acqua e cereali.
Arriviamo così al 1516, altro momento fondamentale del nostro percorso. Guglielmo IV di Baviera emana il “Reinheitsgebot”, termine impronunciabile tradotto meglio come Editto della Purezza. In questo documento si stabilisce, a livello normativo, che la birra può essere prodotta esclusivamente con: acqua, orzo e luppolo; in seguito verrà aggiunto anche il lievito. Sembra una banalità affermare questo concetto, ma non è esattamente così. In primo luogo si sgombera il campo dagli equivoci di birre prodotte con quello che capitava: per questo l’editto è il più antico atto normativo in materia di legislazione sanitaria, ancora in vita. Le direttive UE non sono fortunatamente riuscite a normalizzare questa legge, che nel 2002 era ancora in vigore in Germania.
In secondo luogo, si esclude dalla produzione della birra qualsiasi altro elemento o cereale di base. Il più tradizionale frumento, importantissimo nel 1516, viene quindi unicamente destinato a scopi alimentari, soprattutto per le truppe impegnate sui vari fronti dell’epoca. Dopo il 1516 cambiano molte cose, naturalmente. Molte birre oggi sono aromatizzate con vari ingredienti: i produttori di birre artigianali si riconoscono, però, in questa antica norma.
Nel sedicesimo secolo la produzione di birra è concentrata nelle locande, quasi sempre gestite da donne (le cosiddette Alewives) e destinate ad un pubblico locale. I monasteri mantengono la loro importanza, almeno fino alla rivoluzione francese e al periodo napoleonico. In seguito agli esprori rivoluzionari ed alle ostilità verso il mondo ecclesiastico, considerato complice della monarchia, rallenta anche questa tradizione. In Inghilterra i monasteri avevano subito una sorte analoga in precedenza, ad opera di Enrico VIII.
La rivoluzione industriale apre nuovi orizzonti per la birra, attraverso l’introduzione di vari meccanismi in grando di automatizzare alcune fasi della produzione. Sono introdotti forni per la tostatura dell’orzo e impianti a vapore per la cottura del mosto. Aumenta parallelamente la domanda di birra da parte delle classi meno agiate, la risposta consiste in birre poco alcoliche destinate ad un consumo “proletario”. In Inghilterra nasce la “porter”, birra ampiamente consumata, anche a scopo energetico, dai facchini di Londra. Analogamente in Belgio hanno successo le “saison”, birre di gradazione media, che in alcuni casi erano contemplate dai contratti dei braccianti e dei lavoratori dell’industria.
Nel corso del XIX secolo l’industrializzazione del settore trasforma la birra in un prodotto alimentare molto diffuso. Dapprima con la normalizzazione dei sistemi di trasporto e l’utilizzo di barili in legno standard, utili a far conoscere la birra tedesca in Europa. L’introduzione della bottiglia in vetro rende il consumo da pubblico a privato, non si è più vincolati al consumo nei locali. Fondamentale, però, è l’introduzione del quarto elemento produttivo: il lievito. Siamo nel 1842 a Plzen, in Boemia, e da questo momento nulla sarà più come prima. Le birre fino ad allora fermentavano per azione dei batteri presenti nell’aria, in modo casuale. L’uso di lieviti, selezionati e coltivati per questo scopo, conferisce ad ogni birra una propria personalità caratteristica.
Dopo alcune resistenze, da parte dei soliti inglesi, è definitivamente stabilita la formula magica della birra moderna: acqua, orzo, luppolo e lievito.
Per arrivare al fenomeno attuale, in cui si parla di Birre e non più di “birra”, manca ancora un elemento storico: la Renaissance americana.
A partire dagli anni ’80 si espande, negli USA, un movimento che possiamo tranquillamente definire “culturale”.
E’ una corrente di pensiero che fugge da schemi legati all’industria ed alla grande distribuzione, per rivalutare l’individuo.
Molti ragazzi americani iniziano a mettere a frutto la loro passione per la tecnologia e la loro fantasia, rielaborando sistemi domestici per la produzione di birra. Nei campus universitari e nei piccoli giardini sul retro di insospettabili villette, prendono vita curiosi esempi di arte moderna. Pentole bucate e raccordate tra loro con rubinetti e tubi, bruciatori a gas, piccoli motori elettrici salda6ti ad eliche, vecchi frigoriferi cannibalizzati per togliere pezzi. Anche le ricette per la produzione delle birre subiscono rivisitazioni estreme, rendendo la produzione di birra un fenomeno alla portata di tutti.
Sono proprio gli “homebrewers” americani, i birrai domestici della domenica, a dare un nuovo ed inaspettato impulso.
Il fenomeno passa l’oceano Atlantico e rimbalza in Europa, dove raccoglie nuovi adepti.
Sono i germogli che daranno i loro frutti a cavallo del 2000. In Europa nascono nuove imprese di piccole dimensioni: i microbirrifici. La loro produzione è limitata e di altissima qualità. Non più birra standard con caratteristiche organolettiche inconsistenti, trattata industrialmente per renderla immortale, ma prodotti artigianali molto diversi l’uno dall’altro, senza additivi e soprattutto con i lieviti ancora vivi e vegeti dentro la bottiglia.
Proliferano anche in Italia i microbirrifici: a partire dalla seconda metà degli anni ’90.
Il fenomeno cresce di anno in anno, rosicchiando quote di mercato sempre più rilevanti all’industria e trasmettendo un messaggio importantissimo: micro è meglio di mega.
Parlare di birre è diventato facile oggi; il piacere di conoscerle, però, è tutto nel provarle di persona
Complimenti al nostro Fabio , la storia della birra è essenziale per capire il momento di successo che la birra artigianale vive oggi
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Complimenti per la chiarezza e la felice capacità espositiva. Il pezzo mi è stato di grande utilità per un veloce ripasso dell’argomento, senza fronzoli e inutili divagazioni. Grazie, nino aiello
Ringrazio per gli apprezzamenti e mi scuso per qualche errore di battitura.