L’evento tenutosi lo scorso 3 febbraio presso il Ristorante Coria di Caltagirone dimostra che cibo e vino sono diventati un nuovo importante catalizzatore di idee, progetti, sperimentazioni e – in definitiva – volano per l’economia di realtà dell’entroterra che fino a pochi anni fa risultavano escluse dai percorsi turistici “ufficiali”.
Promotori e protagonisti di questo “nuovo corso”, fortunatamente, sono spesso giovani che con passione ed impegno riescono ad affermare le proprie proposte in ambito nazionale (e non solo).
La serata del 3 febbraio è stata la conferma di questo nuovo trend: quattro giovanissimi siciliani (età media di poco al di sopra dei trent’anni) si sono confrontati proponendo il meglio delle loro produzioni ed offrendo alle papille gustative dei fortunati partecipanti stimoli davvero interessanti.
I giovani chef, Francesco Patti e Domenico Colonnetta (freschi della loro prima stella Michelin), hanno elaborato un menù gustoso ed equilibrato per “accompagnare” i protagonisti della serata: i vini naturali di Arianna Occhipinti e di Nino Barraco.
I vini naturali[1] sono vini “difficili”. Lo sono, certamente, per i produttori (che non potendo far ricorso alle magie della chimica hanno vita non facile nella vigna ed in cantina) ma, talvolta, sono ostici anche per il consumatore. Spesso si tratta, infatti, di vini “estremi”, che rompono le regole e che ad un primo approccio possono spiazzare il bevitore meno smaliziato; si odiano o si amano ma, di certo, non possono lasciare indifferenti.
Ecco, quindi, per chi avesse ancora voglia di leggermi, le impressioni suscitate dai vini e dagli abbinamenti che abbiamo avuto modo di provare nel corso della serata.
Il primo vino proposto è stato il “Catarratto 2010” di Barraco. I vini del produttore marsalese sono vini dal piglio deciso, intensi, che esprimono la forza della terra da cui provengono, la passione di chi la coltiva e le tecniche di vinificazione impiegate (macerazione sulle bucce anche per i bianchi, uso di lieviti autoctoni non selezionati, svolgimento di fermentazione malolattica); il catarratto non si sottrae a questa impostazione e mostra subito “l’aria di famiglia” (chi conosce il Grillo o lo Zibibbo di Barraco sa a cosa mi riferisco).
Il produttore dice di questo vino che ha «carattere forte ed estremo, senza possibilità di mediazione in bocca; l’aspetto varietale consiste in un retrogusto amarognolo ed offre a chi lo beve un’immersione completa nella terra Marsalese».
Colore giallo paglierino carico, tendete al dorato. Al naso si presenta con note di camomilla e miele, una nota minerale ed un lieve sentore fumé in chiusura. In bocca è pieno, “polposo”, sapido, equilibrato e con una buona persistenza.
Il primo vino ha accompagnato l’entrèe della serata «crema di geli selvatici, con “crastuni” in umido e aria di ricotta» ma è sulla «Bruschetta con “capuliato” di pomodoro, crema di melanzana e tartare di alici fresche in olio extra vergine» che ha dato il meglio di se. L’abbinamento è risultato azzeccatissimo ed estremamente bilanciato. Cibo e vino si equilibravano per salinità ed acidità al punto che sembravano «richiamarsi a vicenda».
Si è poi passati al secondo prodotto della scuderia Barraco: lo “Zibibbo 2010”.
Il vino si presenta di un giallo paglierino intenso e brillante con spiccate note dorate.
Al naso è ben avvertibile la nota varietale: dolce, sentori di canditi, miele ed albicocca secca solleticano l’olfatto.
In bocca è caldo ed avvolgente, con un buon corpo ed una acidità adeguata alla tipologia.
Il vino è tanto affascinante quanto “scontroso”; potremmo dire che si è trattata di una vera e propria sfida lanciata da Barraco ai due chef che hanno organizzato la serata. La potenza aromatico-olfattiva dello “Zibibbo 2010” rende difficoltoso l’abbinamento al cibo ed anche i sommelier più accorti e gli chef più esperti rischiano qualche “scivolone”.
I due “fratelli Coria” (come ormai sono stati definiti da Caponataweb) hanno provato ad accompagnare lo zibibbo con il «medaglione di Pesce Spatola, con zucchina alla brace, gambero rosso di Mazzara la sua salsa e scamorza leggermente affumicata». Piatto davvero interessante, ben preparato e che ha manifestato un perfetto equilibrio tra gli elementi di mare e quelli di terra, sapientemente interpretati.
La “sfida”, tuttavia, è stata superata solo a metà: il vino tendeva a predominare sul piatto (che, per contro, rilanciava con la nota di affumicatura conferita dalla scamorza). Tuttavia, tanto la proposta di Barraco che quella dei Coria sono risultate irresistibili e ciò ha fatto dimenticare ogni problema di abbinamento.
Siamo poi passati ai vini della Occhipinti e la prima proposta è stata un “Frappato 2010 – Anteprima”; vino ancora giovane, da “svezzare”, come ha detto la simpatica produttrice (non è ancora in commercio e sarà sugli scaffali tra non meno di 4 mesi).
Il vino si è presentato limpido e trasparente, di un rosso violaceo che denotava tutta la giovinezza di cui vi dicevo. Al naso i frutti rossi predominano, insieme a note “vinose” che tradiscono la giovane età. Per la stessa ragione in bocca ci siamo ritrovati un vino ancora “impertinente”, con tannini gradevoli ma non evoluti; un vino di facile beva che potrà solo giovarsi del periodo di affinamento in bottiglia che precederà la messa in commercio.
Il “Frappato 2010” è stato proposto con «Frascatole allo zafferano con ceci, salsa araba e brodino di merluzzo». Vi starete chiedendo: di che si tratta?? Le frascatole sono fatte con semola di grano duro e seguono lo stesso principio di lavorazione del cuscus. Nascono da una frettolosa “incocciatura” della semola; in altre parole si tratta dei cocci più grossolani del cuscus “incocciato” male che tradizionalmente venivano scartati, asciugati e cucinati in brodo di verdure. (Non lo sapevo nemmeno io ma mi sono documentato; eccovi l’indirizzo per maggiori informazioni http://www.cucinatrapanese.com/2011/03/frascatole-in-brodo-daragosta.html).
Le frascatole sono state una sorpresa; lo zafferano e le spezie della salsa araba conferivano al piatto un aroma quasi esotico che affascinava delicatamente il palato. L’abbinamento, tuttavia, non rendeva giustizia né al vino né al cibo. Direi che a questa portata si abbinava meglio lo Zibibbo di Barraco (e chi ne aveva conservato un po’ nel bicchiere per studiarne l’evoluzione con il trascorrere del tempo può confermare).
Ancor più interessanti le «Casarecce al carrubo, con stufato leggero di coniglio, crema di carota e ricotta al forno». Il piatto si apprezzava al meglio combinando tutti gli elementi che lo componevano e il risultato era un perfetto bilanciamento di elementi dolci e di sapidità; davvero notevole.
Il vino servito in accompagnamento è stato il “Siccagno 2009” di Arianna Occhipinti; nero d’Avola in purezza. Visivamente si è presentato limpido e trasparente, di un bel rosso rubino con riflessi violacei. Olfattivamente caratterizzato da notevoli sentori di lampone, ciliegia marasca, ribes e prugna matura, uniti ad una piacevole presenza di aromi terziari: pepe bianco, noce moscata ed origano con un finale lievemente balsamico. Tannini lievi ma irrobustisti da una buona acidità.
Con il passaggio ai secondi è scesa in capo l’artiglieria pesante; non me ne vogliano Patti e Colonnetta se non mi dilungherò sulla «guancetta di vitello in conserva di pomodoro, con cavolo rapa» per dar spazio al vino che lo accompagnava il “Cerasuolo di Vittoria Grotte Alte 2006” di Arianna Occhipinti.
Fresco di elogi sulle guide enologiche 2012 (5 bottiglie per l’Espresso) il vino presenta di un rosso rubino intenso tendente al granato, segno del quadriennale affinamento in botti di rovere di slavonia che ha preceduto i sei mesi in bottiglia cui la produttrice ha voluto sottoporlo.
Al naso ha mostrato una nota floreale che richiama alla mente il frappato; olfatto elegante, complesso e piacevole, da “studiare” nell’evoluzione che regala con il trascorrere del tempo.
In bocca è risultato pieno, avvolgente, caldo e ha riconfermato le sensazioni suscitate al naso: pepe, cuoio, note balsamiche, liquirizia. Un vero piacere da centellinare.
Last but not least…. «Cremoso al cioccolato» del “fratelli Coria” in abbinamento col “Milocca 2006” di Antonio Barraco.
Che dire del Milocca?? Beh, semplice: si tratta di una bella botta di…fortuna!
Mi spiego meglio: se non ci fosse stata un’intensa «sciroccata» nei giorni immediatamente antecedenti la vendemmia non avremmo avuto questo vino. Di base è un nero d’avola e come tale voleva esser immesso sul mercato. L’intensa ondata di caldo, tuttavia, ha portato ad un’improvvisa ed eccessiva concentrazione degli zuccheri nell’uva. Tanti avrebbero rinunciato a vinificare in quelle condizioni ma Nino non ha avuto paura; ha rischiato, ha tirato il suo calcio di rigore e…ha fatto goal!
Al primo assaggio il Milocca è spiazzante: innanzitutto perché è dolce ma non stucchevole. olfattivamente mescola una nota chinata con aromi di frutta rossa disidratata e poi…via: datteri e fichi secchi, cappero, anice stellato, cacao, cuoio (e volendo si potrebbe continuare). La dolcezza, come dicevo, resta in bocca ma non infastidisce perché è gradevolmente bilanciata dal corpo “vinoso” e tannico, oltre che da una buona acidità.
Ora che vi ho presentato il vino, secondo voi, com’è andato l’abbinamento? Beh, il cioccolato è certamente un goal a porta aperta con il Milocca ed il “cremoso” proposto non ha fatto eccezione; personalmente, però, avrei preferito una nota di cacao (amaro) molto più marcata per reggere l’impatto con il vino.
Da ultimo, con buona pace degli etilometri della zona, come non segnalare il fatto che non ci hanno fatto uscire dal ristorante senza “provare” un ottimo Gin Tonic preparato a regola d’arte?!?!
[1] Per chi non lo sapesse, la proposizione di vini naturali presuppone che il produttore (forse sarebbe meglio parlare di “vignaiuolo”) sposi la causa della produzione naturale quasi come fosse una filosofia di vita: la scelta è radicale e presuppone la rinuncia a tanti dei vantaggi che la chimica e le nuove tecnologie possono offrire.
Si comincia in vigna con la coltivazione di soli vitigni autoctoni; banditi pesticidi e fertilizzanti chimici; la vendemmia dev’essere rigorosamente manuale.
Il lavoro prosegue in cantina dove è consentita solo l’ utilizzazione di lieviti indigeni presenti sull’uva ed in cantina ed esclusa ogni manipolazione tesa ad accelerare e/o rallentare la fermentazione naturale del mosto e del vino; quest’ultima deve, inoltre avvenire senza alcun controllo della temperatura.
Da ultimo: nessun intervento chiarificante e/o di filtrazione che altererebbero l’equilibrio biologico e naturale dei vini; ferrei limiti all’utilizzo dell’anidride solforosa.
[1] Per chi non lo sapesse, la proposizione di vini naturali presuppone che il produttore (forse sarebbe meglio parlare di “vignaiuolo”) sposi la causa della produzione naturale quasi come fosse una filosofia di vita: la scelta è radicale e presuppone la rinuncia a tanti dei vantaggi che la chimica e le nuove tecnologie possono offrire.
Si comincia in vigna con la coltivazione di soli vitigni autoctoni; banditi pesticidi e fertilizzanti chimici; la vendemmia dev’essere rigorosamente manuale.
Il lavoro prosegue in cantina dove è consentita solo l’ utilizzazione di lieviti indigeni presenti sull’uva ed in cantina ed esclusa ogni manipolazione tesa ad accelerare e/o rallentare la fermentazione naturale del mosto e del vino; quest’ultima deve, inoltre avvenire senza alcun controllo della temperatura.
Da ultimo: nessun intervento chiarificante e/o di filtrazione che altererebbero l’equilibrio biologico e naturale dei vini; ferrei limiti all’utilizzo dell’anidride solforosa
Bravo Andrea, il tuo post (molto più professionale del mio) completa il racconto della piacevole serata trascorsa insieme. Ottima descrizione dei sapori e degli abbinamenti.
Grazie Bianca, la combinazione dei due pezzi sull’evento credo dia conto in maniera completa di una gradevolissima esperienza che meritava di esser raccontata e che spero possa esser presto ripetuta.
Forza Caponataweb!! 😉
Complimenti ad Andrea per l’articolo !!
Grande rivalsa degli avvocati alla lunga lo sapevo che sarebbero diventati dei veri blogger…e li ho scoperti io….il trio Medusa che finalmente mi da grandi soddisfaziioni, bravi caponatari per il racconto multiplo, ben fatto…la prossima cena da recensire potete farla assieme mi pare che l’accoppiata sia profiqua