Non molti studiosi si sono occupati della storia e della realtà odierna dell’agnolotto, trovare notizie non è quindi facile; siamo comunque in grado di offrire a chi è interessato una piccola storia dell’agnolotto. Il nome è diffuso in una non grande parte del Piemonte, di cui è difficile dare confini precisi. Proviamo a dire che verso la Liguria compare il raviolo, verso l’Emilia compare il tortellino e verso la Lombardia semplicemente l’agnolotto scompare, non fa parte della tradizione gastronomica lombarda, per cui quando nella gastronomia lombarda troviamo citato l’agnolotto o il raviolo, siamo molto probabilmente davanti all’ importazione di una buona ricetta con adozione del suo nome originale. Sicuramente non sbagliamo dicendo che il nome agnolotto è da tempo radicato nel torinese, nell’astigiano e nell’alessandrino fino a Ovada, Acqui Terme e Novi Ligure a sud, dove già compare il raviolo.
Particolarmente interessante è scoprire le differenze tra agnolotto e raviolo perché tutto fa pensare ad una loro origine comune, e a una differenza determinata soprattutto dal ripieno poichè la forma è praticamente la stessa. Più ricco di erbe e cacio il raviolo, più ricco di carne e uovo l’agnolotto: questa è la differenza stabilita dal dizionario dell’Accademia della Crusca nel ‘700. A proposito del ripieno dell’agnolotto mi piace citare il sapiente Carlo Nasi che nel “Enchiridio del buongustaio in Piemonte” (1963) recita:”…i veri agnolotti piemontesi non comportano la versione cosiddetta di magro. Costituiscono un piatto festivo, natalizio, pasquale,dionisiaco, faustiano; ridurli a un piatto quaresimale sarebbe come se la Benemerita affidasse a un Maresciallo a piedi il comando di una stazione a cavallo.” Per una storia del raviolo ha molto lavorato Carletto Bergaglio, farmacista e gastronomo. Presentò i risultati delle sue ricerche nel corso del convegno nazionale “Sua maestà l’agnolotto” tenuto ad Alessandria il 7 Aprile 1990. Nel XII secolo il Marchesato di Gavi controlla la strada che porta in Liguria, a Genova. E’ l’ultima tappa prima dell’arrivo a Genova, molti mercanti si fermano per riposarsi in una delle tante locande. Una appartiene alla famiglia Raviolo che mette a punto questo pasto da offrire ai suoi avventori: un impasto preappenninico di erbe, uova e cacio chiuso nella sfoglia di pasta, che ben presto prende il nome di chi lo ha inventato: raviolo. Da Gavi i ravioli giungono a Genova, sede di grandi fiere e mercati,che attirano gente da ogni dove per cui poco per volta i ravioli emigrano, si trovano sempre più lontano dalla loro culla originaria. La famiglia Raviolo si arricchisce, compra anche il titolo nobiliare dei Gavi, che si erano estinti, emigra a Genova. Altri invece si spostano ad Alessandria e ad Asti, dove, sempre secondo Bergaglio, col tempo cambiano nome in Raviola. Il raviolo quindi giunge anche nelle nostre campagne, viene adottato e apprezzato, ma il nome, chissà perchè, cambia. C’è chi sostiene che la prima carne usata nel ripieno sia stata quella di agnello, da cui agnellotto e poi agnolotto; altri sostengono che la forma primitiva fosse tondeggiante come un anello, da cui anellotto, agnellotto,agnolotto. Chi può saperlo? Certo è che già la “La cuciniera piemontese” libro di cucina pubblicato a Vercelli nel 1771 cita gli agnellotti all’italiana, sia di magro che di grasso.
Qualche decennio dopo anche il Vialardi, cuoco e pasticciere di casa Savoia, dimostra che pure lui li conosce bene perché li chiama agnellotti e ce ne offre un buon numero di ricette. Tra queste veramente seducente è la “zuppa d’agnelotti al forno” dove i nonni dei nostri agnolotti vengono chiusi in una specie di pasta brisè, asciugati al forno, cotti velocemente e serviti in buon brodo bollente. Il nostro Autore li definisce “buona zuppa signorile” e, credete, è vero: noi che abbiamo provato possiamo confermarlo. Quello che sembra certo è che l’agnolotto sia nato come piatto di riciclaggio di carni avanzate, ripresentate sotto forma di pasta macinata al mortaio con verdure e cacio per dare quantità e sapore, e poi racchiuse in fagottini di pasta per renderne comodo il servizio e il consumo.
Col passare del tempo nelle famiglie piemontesi divennero il primo piatto insostituibile dei giorni di festa, sostituendo però gli avanzi con tagli di carne scelti e pregiati, e impiegando solo la verdura più adatta e il miglior formaggio da grattare, prima buon pecorino delle montagne liguri, poi l’italico parmigiano. Il vero agnolotto è solo quello fatto a mano. Fino al secondo dopoguerra anche le trattorie li offrivano soltanto così: per fare le centinaia di dozzine necessarie arruolavano le donne del paese o del quartiere che ne avevano la possibilità e la capacità, costava tempo e denaro, ma gli agnolotti che offrivano la Domenica ai loro clienti erano tutti “gobbi”. Poi il progresso, il benessere, la comparsa delle macchine per fare la pasta e la scomparsa delle donne contente di dedicare qualche pomeriggio alla settimana per fare agnolotti per i ristoranti ed eccoci arrivato a oggi. Anzi a ieri, quando gli agnolotti al ristorante erano fatti se non a mano, almeno da buoni pastai artigiani, ma soprattutto erano ancora quadrati e “gobbi”.
Contatti: Corte dell’Agnolotto Gobbo di Asti – www.agnolottogobbo.it