San Nicolò l’Arena è un complesso monastico situato nel centro storico di Catania e costituito da un importante monastero e da una monumentale chiesa settecentesca Con la sua superficie complessiva di oltre 100.000 metri quadri, è considerato il secondo più grande in Europa dopo quello di Mafra in Portogallo
I monaci Benedettini a Catania si distinsero per il loro potere spirituale e temporale e anche per il modo gaudente in cui interpretavano la vita, nel più assoluto benessere, soprattutto a tavola. Si narra che avessero a disposizione addirittura un chilo e mezzo di carne a testa per i loro pasti quotidiani consumati più volte al giorno, con un numero interminabile di portate. La popolazione, provata dagli stenti e dalla carestia assisteva attonita all’abbondanza delle loro libagioni e attendeva la fine dei loro opulento gozzovigliare per potersi sfamare con gli avanzi. Lo stesso Federico De Roberto in capitolo de “I Vicerè” ci offre un mirabile contributo dei vizi e delle virtù gastronomiche dei monaci. … “Levatisi, la mattina, scendevano a dire ciascuno la sua messa, giù nella chiesa, spesso a porte chiuse, per non esser disturbati dai fedeli; poi se ne andavano in camera, a prendere qualcosa, in attesa del pranzo, a cui lavoravano, nelle cucine spaziose come una caserma, non meno di otto cuochi, oltre gli sguatteri. Ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di quercia, per tenere i fornelli sempre accesi, e solo per la frittura il Cellerario di cucina consegnava loro, ogni giorno, quattro vesciche di strutto, di due rotoli ciascuna, e due cafissi d’olio: roba che in casa del principe bastava per sei mesi. I calderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una coscia di vitella e arrostire un pesce spada sano sano; sulla grattugia, due sguatteri, agguantata ciascuno mezza ruota di formaggio, stavano un’ora a spiallarvela; il ceppo era un tronco di quercia che due uomini non arrivavano ad abbracciare, ed ogni settimana un falegname, che riceveva quattro tarì e mezzo barile di vino per questo servizio, doveva segarne due dita, perché si riduceva inservibile, dal tanto trituzzare. In città, la cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse ciascuna come un mellone, le olive imbottite, i crespelli melati erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare; e pei gelati, per lo spumone, per la cassata gelata…”
A cotanto interesse culininario corrispondeva un’adeguata cucina, a forma di edicola poligonale, con la parte centrale che fungeva anche da cappa, progettata in maniera funzionale e all’avanguardia con i tempi. Tutti i punti cottura, infatti, potevano essere raggiunti da ogni lato della sala, a differenza delle cucine tradizionali che venivano costruite a ridosso di un muro con fruibilità ridotta a soli tre lati. Il pavimento e la parte esterna mostrano delle belle piastrelle in ceramica ed il vano passa-vivande era direttamente collegato al refettorio.
E se buon cibo è anche buon vino, suggestive sono le cantine ubicate sotto le cucine, attraversate dalla colata lavica del 1669.
I Benedettini inoltre curavano direttamente l’approvvigionamento delle acque, con una rete idrica interna basata su 2 sistemi: raccolta dell’acqua piovana ed estrazione da un pozzo profondo più di trenta metri. alimentato dalle acque del fiume Amenano, che anticamente, prima di venire canalizzato, serviva la zona limitrofa al convento stesso.
Che dire? Il famoso detto Ora et Labora, poteva tradursi in… Ora… et, soprattutto, magna!!! Anzi come sottolineava il De Roberto….”facevano l’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso.”
Oltre per qualche ricetta, soprattutto di dolci, oggi la testimonianza più bella della ricchezza monastica resta proprio nella magnificenza dell’edificio e nell’incantevole scenario delle sue cucine che restaurate da poco si offrono alla visita di migliaia di curiosi e turisti.
Fiamme, fuochi… ecco dunque che in questo scenario Dante ed i suoi versi della Divina Commedia, si fanno ingredienti davvero unici di tre serate in cui la bellezza del luogo si sposa con l’arte e la cultura.
Da venerdì 16 a domenica 18 gennaio a partire dalle 20 e 45 grazie all’appuntamento della rassegna teatrale Gesti curata da Guglielmo Ferro si rappresenta l’Inferno.
La Divina Commedia capolavoro della produzione letteraria di tutti i tempi, si avvicina al popolo siciliano trovando corrispondenza di suoni e intenti nella poetica tradizione della letteratura dialettale. Il concetto d’amor platonico, il ruolo di Virgilio e il simbolico viaggio di Dante restano immutati nella trasposizione letteraria del dialetto che pur, in questa occasione, colora e impregna le atmosfere dantesche con i forti contrasti di storie e personaggi siciliani che hanno riempito le pagine dei nostri grandi scrittori da Tempio a Martoglio.
Gli ingredienti ci sono tutti,i preparativi fervono, Dante e Virgilio sono gli straordinari”chef”, Guglielmo Ferro ed i bravi attori che lo interpretano, Agostino Zumbo, Francesca Ferro, Bruno Torrisi, Salvo Re, Carmelo Cannavò, Marco Tringale, Giovanni Fontana Rosa, Lino De Motta sono i coinvolgenti padroni di casa…basta accendere i fuochi e prepararsi a nutrirsi di questo straordinario spettacolo. Da non perdere!
De Gustibus
Da venerdì 16 a domenica 18 gennaio alle 20:45 alle Cucine – ex Monastero Benedettini – Piazza Dante, Catania
Info tel. 095 780 8752- 349 37 33541 – info@gesti.org – www.gesti.org
sei un mito!!!!!!!!!!!!
Ho visto lo spettacolo domenica sera. E’ stato come gustare un piatto conosciuto e amato, ma cucinato in modo nuovo e con un ingrediente che la ricetta originale non prevedeva. Il risultato è stato strepitoso: ma si trattava di nouvelle cuisine e, come si sa, da quel genere di ristorante si esce sempre con fame!!
Hai ragione Alessandra, luoghi ed iniziativa splendidi. L’appetito teniamocelo per altri appuntamenti, che il bravo Guglielmo e la sua brigata sapranno creare in futuro!
sono reviste altre repliche? mi hai molto fatto incuriosire,mi da qualche altra info sullo spettacolo
ciao vito
Ciao Vito… ancora non sono previste… ti farò sapere… comunque una visita nelle cucine e nelle cantine è comunque da fare!
Salve, lo spettacolo é piaciuto anche a me, seppure con qualche remora su un paio di interpretazioni e sulla brevità dello stesso, ma va bene lo stesso, perché l’esperimento può dirsi comunque pienamente riuscito e coinvolgente, complice anche il luogo. Gradirei sapere, però, chi ha curato le trasposizioni in dialetto, dato che né sul programma né nelle note informative vi é alcun riferimento ai detti autori. Grazie
La ben riuscita traduzione in dialetto è del messinese Tommaso Cannizzaro. Vissuto a cavallo tra ottocento e novecento, pubblicò la traduzione nel 1904. Un omaggio a Dante, far apprezzare la Divina Commedia ai siciliani!
Grazie per la tempestività della risposta. Condivido l’entusiasmo e l’apprezzamento per la finalità divulgativa e la ricerca lessicale ed onomatopeica del traduttore. Alla prossima!